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IL CLUB DI JANE AUSTEN: quanta immedesimazione!

I drammi dell’immedesimazione letteraria:
il club di jane austen

La letteratura è un arma a doppio taglio: da un lato ti fa evadere per vivere un mondo che non è proprio il tuo, dall’altro ti permette il cosidetto"salto letterario", la possibilità dell’immedesimazione in una situazione di vita di un protagonista vivendo l’orizzonte degli eventi che altri gli scrittori immaginano per te.

Lo sa bene "Il club di Jane Austen", ultima fatica cinematografica di un pugno di attrici telefilmiche (Amy Brennman, la Giudice amy e pscologa frustrata nel recente Private Practice), Katy Baker (interprete della madre del dott. Troy in nip&tuck) e Maria Bello (la dottoressa Dell’Amico di ER), tendenzialmente virato verso il melodramma, particolarmente verboso ma ben forbito e costruto, con una regia attenta a non dimenticare dettagli ed ad insistere sulle scelte di vestiario discutibilmente verosimili delle stesse interpreti, talune, forse troppo giovani o troppo vecchie per la parte..

Il film parla dunque di queste donne, ben 5, che decidono di dar vita ad un club letterario su Jane Austen. Ogni mese il club si riunisce e commenta uno dei libri dell’autrice, che tutte leggono e che viene recensito da una di loro ogni volta.
Così le donne si acorgono che le storie di Jane Austen non sono così lontane dall’orizzonte del loro vissuto qutidiano e, attraverso il confronto con le altre, riescono a trovare le risposte che tanto sono cercate.

Jane Austen sarebbe stata fiera di questo film, credo.  Non per via della trama, quasi inesistente e legata alla storia drammatico-comica di ognuna delle protagoniste, quanto per la grande fortuna che i suoi romanzi, anticonformisti, pur vivendo nell’800 vittoriano bigotto e castrante, riescono ancora a suscitare nella platea del terzo millennio.

Chi va a vedere questo film e non sa nulla di Jane Austen, si troverà spiazzato all’inizio.Penserà che non ci capisce nulla  delle storie citate di continuo e forse frettolosamente, e non può capire i messaggi che il film manda alle protagoniste e a chi vive storie simili.
Si sbaglia.
Le storie di Jane Austen sono le stesse che tutti conoscono:
amori finiti per via della noia, inquietudine adolescenziale e antinconformismo, amicizia femminile che sacrifica un amore, matrimoni molteplici per nascondere l’infelicità, donne che non riescono ad amare per paura.

La Jane Austen è tutto questo, ed il motivo per il quale sono stati creati  tanti film (su tutti Orgoglio e Pregiudizio, Mansfield Park, Ragione e sentimento) è proprio il segno dell’universalità senza tempo della Austen
che si racchiude nel semplice messaggio, forse neanche troppo scontato e semplicistico del

coraggio, vivi la tua paura, immedesimati nella tua paura per capire quanto è sciocca.

Così l’amore, per la Austen è un sentimento delicato e insieme spaventevole, qualcosa a cui avvicnarsi con calma e senza fretta.
Nel film l’unica battuta veramente bella, degna della scrittrice, rimanda proprio a questo, al lasciarsi andare coraggiosamente all’Amore quasi, con una metafora,
lasciandosi aprire le dita di un pugno chiuso (l’ostinazione), un dito alla volta.

E’ questo un bell’insegnamento della Austen, che anche chi, come Manuelo e Antonio, non ha letto Jane, può benissimo imparare e fare proprio, come un vecchio consiglio che viene da un mondo che solo sembra non appartenerci più, ma in realtà può essere oggetto di immedesimazione e talvolta di giusta risposta.