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Ritratti telefilmici: Robb Stark, d’amore e morte

robb_stark1Il Trono di Spade partorisce sempre figure leggendarie e indimenticabili. Una di queste è il giovane Robb Stark, primogenito dello sfortunato Ned Stark, re del nord, decapitato dopo aver tentato di rivendicare il Trono, per restituirlo all’erede legittimo. Una metafora della durezza della condizione di quei Primogeniti in cerca di riscatto e perseguitati dalla sfortuna. 

La storia di Robb

Robb Stark, una volta morto il padre, decide di vendicarlo, raduna le truppe del nord e dichiara guerra al nuovo robb_stark2giovane e illegittimo re bambino Joeffrey, ed alla sua spietata famiglia, i Lannister. Durante il lungo cammino di guerra della seconda dolorosa stagione di Game of Thrones, il giovane Robb crescerà. Da primogenito carico di responsabilità, suo malgrado a capo del suo regno del Nord, diventerà un “combattente stratega”, l’unico in grado di vendicare il padre, liberare le figlie dalle grinfie del perfido Re Lannister e salire sul Trono, non tanto per cupidigia, quanto per riscatto. Robb nella terza stagione si fa determinato e riuscirà a prendere decisioni difficili, uscendo dall’ombra della Madre, e mettendo in discussione i suoi stessi alleati. Resisterà all’offesa dell’ex amico Theon (che usurperà il Nord, approfittando della sua assenza) e, mentre sfida il patriarca dei Lannister con successo in una battaglia continua, finirà per sposare una giovane “infermiera” di campo, mandando a monte un matrimonio di convenienza che gli avrebbe garantito più uomini per la sua missione.

Robb, il primogenito sfortunato

Robb morirà tragicamente per mano di Lord Frey, un traditore che, offeso per il mancato matrimonio con una delle sue figlie, lo farà uccidere durante un banchetto di nozze, insieme alla sua giovane sposa ed alla Madre. La puntata rappresenta un vero e proprio choc nella trama di Game of Thrones, e rappresenta una terribile metafora di molti giovani del nostro tempo, a cui personalmente mi sento molto vicino.

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Robb impersona il terribile complesso del Fratello Maggiore per forza responsabile, quella figura che, venuti meno i genitori, si trova a crescere da solo e di corsa, per rispondere di tutto ciò che accade. Robb è il Ragazzo che cresce suo malgrado, che sente di non riuscire mai abbastanza a ricordare i padri troppo ingombranti anche se morti. Robb è il ragazzo divenuto uomo e che però compie anche scelte coraggiose, inaspettate, come sposare la persona più umile, la più diversa rispetto a quel mondo che deve sostenere tutto da solo.

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Negli occhi di Robb tanta malinconia, tanta disperazione per la terribile morte che lo aspetta e che colpisce anche sua moglie e sua madre. Robb è la crisi del Primogenitismo, è il colpo di lama della vita, che a volte distrugge le aspettative di chi combatte tanto per affermare la propria unicità.  Ma attenzione, l’eroismo di Robb Stark e di tutti i Primogeniti in cerca di riscatto sta proprio nella sua fine gloriosa, arrivata non per incapacità personale, non per un personale fallimento nella battaglia con la vita, bensì per mano di un Complotto meschino. E qui sta tutta l’umanità del personaggio, che lo avvicina  tutti coloro che non riescono a onorare un padre ingombrante e che scelgono un’altra strada non meno meritevole ma diversa, e che hanno quella terribile sfortuna di perire non per le loro scelte ma per quei Giochi meschini degli uomini incapaci di misurarsi con la sua Grandezza.

Addio Zach Sobiech: perché siamo tutti passeggeri come le nuvole

E’ morto oggi Zach Sobiech, un cantante non particolarmente conosciuto, che fa parte di quella piccolo-grande comunità di cantanti autoprodotti che riempiono le pagine di You tube con i loro video. Una goccia nel mare, una nuvola fra le altre di una giornata piovosa e incerta come quella di oggi, come quelle che riempiono le vite di tutti noi.

Zach è morto di un osteosarcoma che lo divorava da 14 anni. Tantissimi gli interventi per cercare di salvarlo. Zach ha lasciato una canzone che lo ricorderà per sempre nella rete. Si chiama Clouds e non è affatto triste, anzi metafisica ed in un certo senso spiritosa: Zach prefigura la sua fine e si immagina su una nuvola a contemplare la sua fine

” e andremo su, su, su 
ma io volerò un po’ più in alto 
andremo su tra le nuvole perché 
la vista è migliore 
quassù, mia cara 
non manca molto adesso, non manca molto…”

Quando ho letto il testo tradotto mi sono un po’ commosso perché storie come queste, forse una fra le milioni che esistono e non vengono documentate, fanno riflettere sulla Precarietà della vita, su quanto siamo Noi delle piccole-grandi Nuvole nel cielo della vita, che passiamo in questi cieli ingombri di nuvole, in cieli che altri non incontreranno  forse mai, e forse del nostro passaggio nessuno si accorgerà.

Zach ha documentato se stesso e la sua malattia nel modo più bello: mi ha ricordato le altre nuvole della mia vita che sono passate e andate via in un giorno pieno di nuvole; mi ha ricordato che siamo destinati a passare tutti. A coprire il sole con la nostra presenza, a disperderci in goccioline al primo sole più forte di Maggio; ma la cosa importante, quella fondamentale forse per vivere davvero è testimoniare il proprio passaggio, parlare al cuore delle persone almeno una volta, ricordare loro  l’importanza della vita, parlare alle altre nuvole, di quanto siano passeggere indifferenti nell’infinito della Volta.

Sono quindi felice che invece Zach sia entrato anche per una decina di minuti della mia vita, la sua nuvola ha incontrato la mia oggi e anche se per poco ne è scaturita qualche lacrima come in ogni buon temporale primaverile che si rispetti.

Walking Dead e Terranova: obiettivo sopravvivere

 La stagione televisiva di FOX è cominciata con due grandi telefilm d’oltre oceano.Il già collaudato horror apocalittico Walking dead ed il futuristico ambientale Terranova. Due telefilm diversi, il primo legato al tradizionale filone degli Zombie, il secondo, prodotto da uno Spielberg legato al Giurassico.

Trame a confronto

Walking dead racconta un incubo: un mondo pieno di gente infettata da un morbo che rende zombie: un piccolo nugolo di sopravvissuti si fa largo fra strade vuote evitando le città assediate dai “morti che camminano” che, in un crescendo di paura, si avventano sui poveri vivi per morderli (o mangiarli) e renderli novelli zombie accumunati alla massa. Terranova invece è il sogno di un futuro migliore: ambientato inizialmente in un 2135 dominato dallo smog e dall’aria irrespirabile, alcuni terrestri vengono spediti nel passato, precisamente nel Giurassico per rifondare una nuova civiltà, partendo da una nuova piccola comunità: Terranova.

Le tematiche svelate

È curioso notare come il tema della sopravvivenza sia il file rouge delle due serie: sopravvivere in walking dead significa restare uniti, avere speranza in un aiuto esterno ma allo stesso tempo prodigarsi per non farsi prendere dal panico (emblematica la scena del nostro manipolo di sopravvissuti, immobile sotto delle auto in attesa che la scia dei morti passi senza accorgersi di loro). In Terranova analogamente si parla di sopravivenza, prima nel futuro in un mondo dominato dal caos, dalle restrizioni, dallo smog e dai divieti e poi nell’era preistorica, dove la sopravvivenza ha il sapore della conquista, del fare comunità e affrontare il mondo oltre le recinzioni, quel giurassico pieno di pericoli che vengono non tanto dai terribili dinosauri (Spielberg docet) che attornano terranova, quanto da alcuni ribelli riluttanti a far parte della comunità.

Cos’altro unisce due telefilm così incredibilmente vicini: forse anche il senso della vita come sfida: i due protagonisti Rick Grimes, il poliziotto tenace e leale di Walking dead vuole salvarsi per dare una speranza al gruppo di persone che lo segue, è affettuoso con la ritrovata moglie, che pure l’ha tradito, e con l’amato figlio. E quando quest’ultimo rischia di morire per un accidentale colpo di fucile partito da un cacciatore (e non da un morso di zombie, segno che le insidie sono meno prevedibili di quanto si pensi), è solo lui che lotta affinchè tutto il gruppo di superstiti recuperi il senso e la voglia di sopravvivere anche nel peggiore dei contesti.

Walking dead e l’attualità

Walking dead opera una profonda meditazione su come si può sopravvivere in un mondo come questo, dove agli Zombie privi di vita si affianca una società priva di valori, che antepone i propri istinti di banale sopravvivenza materiale alla condivisione di valori di unità per fronteggiare la Crisi. Walking Dead sottolinea allora la necessità di non perdersi d’animo, di salvare l’altro, mette in cattiva luce il principio Homo Homini Lupus, impersonato dall’antagonista del protagonista, disposto a dare in pasto agli Zombie un estraneo piuttosto che rischiare di morire.

La paura che emerge in Walking Dead non è tanto per gli zombie, che contribuiscono alla costruzione di un mondo pieno di pericoli, dove occorre sempre guardarsi le spalle, un po’ come avviene nella nostra vita, dove l’economia, la politica, la vita stessa ci impone di guardarci le spalle, di prevenire piuttosto che curare, di salvaguardarci prima dell’inevitabile. Ma qui Walking Dead aggiunge quel quid pluris, quell’insegnamento fondamentale: mobilitare le energie migliori, così come è avvenuto in passato, nei momenti difficili ed affrontare la tempesta, per evitare che il mondo che verrà sia talmente terribile come quello di terranova, da farci desiderare di tornare indietro e ricominciare tutto d’accapo.

Firenze d’ottobre, un viaggio per riempire gli occhi di altro

La frenesia della vita, ed i prossimi impegni in termini di corsi e formazione hanno reso la mia vita piuttosto frenetica, e sicuramente l’attesa per il rogito della casa di nonno mi ha reso fin troppo impaziente. È per questo che ho deciso di staccare a tutti i costi, e per farlo sono andato a trovare il mio amico Michele a Firenze.

Io e Michele siamo due persone diverse (e ciò mi ha ispirato un raccontino) che hanno vissuto un identico percorso di studi con esiti diversi, lui consulente del lavoro, io redattore editoriale per la sicurezza sul lavoro, entrambi passando per precarietà di lavoro e vita, lui ramingo per la Penisola, io stabile a Roma, lui che lascia tutto al caso, io organizzatore di tutta la mia vita. Benché entrambi siamo ora fidanzati e felici, abbiamo fatto parte di un gruppo che ormai non esiste più, abbiamo litigato tempo fa per la reazione all’abbandono di quel gruppo e per la diversa considerazione data a quei membri di allora, facendo pace e chiarendo in più riprese. Ed eppure ora siamo stranamente uniti un po’ dal ricordo, un po’ dalle nuove prospettive che ci si presentano, che abbiamo condiviso io e lui soli, come ai vecchi tempi, in una piena notte di confessioni, mentre i boys dormivano profondamente.

Così in un freddino ottobre eccoci assieme ai nostri boys, in quel di Firenze: io e vic arriviamo venerdì sera, stanchissimi, ed il giorno dopo cominciamo una lunghissima passeggiata per il centro storico, che conosco, ma non così bene a quanto pare, visto che Michele mi porta per strade che non ho mai visto.

Mangiamo nell’Osteria dei Cento Poveri, deliziosa, economica con 10 euro, primo, secondo, vino e caffè, tutto in piatti giusti e gustosi.

A Vic Firenze piace, ci vivrebbe dice, io no, personalmente amo la mia Roma e non vivrei mai in un posto privo delle ottobrate romane, dove se esce il sole fa caldissimo e se passeggi all’ombra di un palazzo, dannatamente duecentesco o quattrocentesco (ma non un secolo più in là) muori di freddo. Eppure mi affascinano lo stesso i vicoletti bui intorno a Santa Maria Novella e al Duomo, mi colpisce la grandiosità delle statue di piazza della Signoria, mi sorprende la precisione geometrica delle forme di Palazzo Pitti.

Firenze comunica un senso di libertà che trascende la dimensione universitaria avvertita più fortemente in città come Bologna, e identifica un preciso tipo di cittadino tipo, che è il lavoratore giovane tra i 28 ed i 35. Pochi i vecchi in giro e non troppi i turisti su Ponte vecchio, mentre una luce bellissima illumina l’Arno.

Mi viene da pensare, una diversa città, una diversa vita per Michele, che partito dalla Puglia, ha studiato a Roma, lavorato inizialmente a Macerata e ora per amore (e lavoro) a Firenze ha trovato una nuova dimensione, non definitiva, ed eppure non escluderebbe di tornare a lavorare e vivere dalle sue parti.

A pensarci mi viene freddo, e guardando Firenze dall’alto di sera, dal bell’altopiano di Fiesole provo a immaginare come sarebbe per me una vita diversa, e mi chiedo come mai a me non è mai venuto in mente di andare altrove da Roma.
Le risposte sono tante: qui ho i miei amici, molti fatti della mia vita mi hanno impedito di andare via e molto mi trattiene qui, dalla casa, al lavoro all’amore.
Eppure mai dire mai, l’idea di viaggiare lontano mi appartiene più di quanto penso.
E spostandomi da un vicolo all’altro, osservando persone tanto diverse e così incredibilmente interessanti tutt’intorno, tutti così presi dall’arte in un’estasi visiva che riempie occhi e cuore, mi sono chiesto se forse non sto maturando l’idea che il vero lavoro che mi renderebbe felice e sicuro non sia proprio quello che contempli un viaggiare, un’intervistare persone, parlare e conoscere luoghi diversi, senza però per forza andare a vivere altrove, bensì solo assaporare un sapore diverso e tornare poi subito a casa per riportare agli altri, ed in primis a me stesso qualcosa di diverso dal mio seminato che pure mi sta bene e coltivo amabilmente con un occhio oltre la porta di casa.

Simona: 30anni, ma l’importante è essere sìncroni!

Il compleanno di simona è il primo di una futura lunga lista di 30enni golosi affermati.

Quando nel pom di una settimana fa le ho scritto il mess d’auguri le ho detto che avere 30anni è come essere al pomeriggio della propria vita, non è proprio pomeriggio tardo..ma si comincia a vedere il buio e si comincia a capire che la giornata volge al termine, che prima o poi occorre fare la cena, il bucato, prepararsi per l’indomani.

Il tardo meriggio, che aspetta me e anche Gab quest’anno è il pomeriggio dei 30enni, quelli che sanno che non è proprio più giorno, ma nemmeno notte e già occorre pensare a come organizzare la propria serata della vita.

Così per il comple di simona, sabato scorso  si va in questo Ore 20 dove si balla. Io e Vic arriviamo tardi

perchè siamo andati al comple di davide, anche lui 30 anni…mio compagno di banco alle elementari. sapere che festeggia è per me un colpo.

E così eccoci tutti lì noi golosi, innanzitutto con alessandro che ha ben diretto la serata nonostante il nostro tardo arrivo

Durante la serata io e Veronica ci siamo dati alle sfrenate danze ma la cosa che proprio allora mi ha sorpreso è stata la reazione di una ragazza sconosciuta a noi tutti, che avvicinatasi a me e Vero, strettissimi nel ballo, ha esclamato:

“vorrei farvi i complimenti: siete proprio in sintonia da morire, state assieme da anni?”. Naturalmente non è cosi ma abbiamo preferito omettere e continuare a ballare, inorgogliti da tanto riconoscimento.

è stata questa la chiave di lettura di questa serata, seppur breve. Capire che, anche se è passato praticamente più di un decennio da quando conosco veronica e loro tutti 

e penso che nonostante i 30, la sintonia non cambia: non è un numero che cambia le cose.

Un numero è solo un avvertimento che puoi sempre divertirti, ma devi solo cominciare a preordinare gli altri obiettivi della tua vita in modo chiaro, fare spazio a ciò che davvero conta, a ciò che ti fa stare in armonia, sincroni con l’ambiente circostante