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Addio Zach Sobiech: perché siamo tutti passeggeri come le nuvole

E’ morto oggi Zach Sobiech, un cantante non particolarmente conosciuto, che fa parte di quella piccolo-grande comunità di cantanti autoprodotti che riempiono le pagine di You tube con i loro video. Una goccia nel mare, una nuvola fra le altre di una giornata piovosa e incerta come quella di oggi, come quelle che riempiono le vite di tutti noi.

Zach è morto di un osteosarcoma che lo divorava da 14 anni. Tantissimi gli interventi per cercare di salvarlo. Zach ha lasciato una canzone che lo ricorderà per sempre nella rete. Si chiama Clouds e non è affatto triste, anzi metafisica ed in un certo senso spiritosa: Zach prefigura la sua fine e si immagina su una nuvola a contemplare la sua fine

” e andremo su, su, su 
ma io volerò un po’ più in alto 
andremo su tra le nuvole perché 
la vista è migliore 
quassù, mia cara 
non manca molto adesso, non manca molto…”

Quando ho letto il testo tradotto mi sono un po’ commosso perché storie come queste, forse una fra le milioni che esistono e non vengono documentate, fanno riflettere sulla Precarietà della vita, su quanto siamo Noi delle piccole-grandi Nuvole nel cielo della vita, che passiamo in questi cieli ingombri di nuvole, in cieli che altri non incontreranno  forse mai, e forse del nostro passaggio nessuno si accorgerà.

Zach ha documentato se stesso e la sua malattia nel modo più bello: mi ha ricordato le altre nuvole della mia vita che sono passate e andate via in un giorno pieno di nuvole; mi ha ricordato che siamo destinati a passare tutti. A coprire il sole con la nostra presenza, a disperderci in goccioline al primo sole più forte di Maggio; ma la cosa importante, quella fondamentale forse per vivere davvero è testimoniare il proprio passaggio, parlare al cuore delle persone almeno una volta, ricordare loro  l’importanza della vita, parlare alle altre nuvole, di quanto siano passeggere indifferenti nell’infinito della Volta.

Sono quindi felice che invece Zach sia entrato anche per una decina di minuti della mia vita, la sua nuvola ha incontrato la mia oggi e anche se per poco ne è scaturita qualche lacrima come in ogni buon temporale primaverile che si rispetti.

Ricordi di spensieratezza in un giorno di pioggia- Goo Goo Dolls – Black Balloon

goo-goo-dolls-1Oggi giornata di pioggia in piena primavera, e non so perché lego i Goo goo dolls a tanti ricordi legati al 2009 quando questo genere di musica riempiva le mie ore scanzonate, dove tutto sembrava non avere troppa importanza …e dove i pensieri angoscianti potevano scoppiare come bolle di sapone…

forse è nostalgia di un modo di fare, di certi sorrisi spensierati…

Nostalgia anche di chi la viveva come me, con quel vivere senza una direzione principale con la musica rock che avrebbe suonato una piccola band in un pub a riempirmi le orecchie, fra tanti piccoli rimpianti…

viaGoo Goo Dolls – Black Balloon [Official Music Video] – YouTube.

The Script – If You Could See Me Now – YouTube

Nuova emozione dagli Script…

Oggi mi sento nostalgico e mi manca un po’ anche l’Irlanda…

Questa canzone trasuda molta nostalgia e pensieri del passato che si accavallano come istantanee della mia vita, sarà che oggi ho sognato la mia famiglia e la mia infanzia…insomma oggi è una di quelle giornate-fotogramma del passato…

 

The Script – If You Could See Me Now – YouTube.

Bratislava way: dal concerto verso nuove direzioni

Il viaggio a Bratislava, tra 27 e 29 luglio è stato ricco di ispirazione. Ci sono periodi della propria vita durante i quali ci si ferma un pò a pensare a dove si è arrivati e dove ancora si vuole andare. E questo viaggio ha questo significato, dove porterà la strada dei miei anni, passato il traguardo dei 30, quando si apre un nuovo decennio dietro una curva che non so dove porta, che mi spaventa forse meno di quanto dovrebbe.
Un nuovo lavoro forse, nuovi obiettivi e diversi punti fermi che restano ferme lì come bandiere di una nave in tempesta, battute dai venti delle tempeste della vita, ed eppure così solide e svettanti. L’amore fra questi, e sicuramente anche alcune le amicizie che seppure a distanza mi fanno ancora sorridere, come quella di Andrea, prossimo ai 29 e felice in un contesto così diverso da quello di Roma, che l’ha cambiato solo in parte, salvo che nell’indole un pò giocherellona e cazzona che tanto mi manca nelle serate romane.

E poi questo viaggio mi ha permesso di assistere al concerto del mio mito in assoluto, Bryan Adams, che ha infiammato la NTC Eagon Arena di Bratislava il 28 luglio, con una performance all’altezza dei tempi andati: perchè sebbene le rughe siano inevitabili, è il cuore che canta. Così lo interpereto questo concerto, come un riconsocere che ci sono canzoni che non passano mai, che ci sono amicizie che non si allontano mai per via della distanza, che ci sono ricordi che non si cancellano più, ma solo si appannano e attimi in cui un assolo di chitarra (quello di every thing i do, per esattezza) ti ricorda ciò che eri, ciò che ti piaceva, ti ricorda ciò che conta, ciò “per il quale faresti tutto”, ovvero te stesso.

E ciò che ero e mi piaceva, credo di averlo ritrovato in quei giorni e lo tengo con me, come una traccia musicale di un ipod che non riesci mai a togliere dalla libreria musicale. E proprio con un Ipod, il giorno successivo sono arrivato al Castello di Devin, vicino Bratislava, per una gitarella solo con me stesso, i miei pensieri e la mia musica, per vivermi l’avventura di mettermi alla prova con una città che non conosco, verso un posto quasi fiabesco, un castello distrutto, ed eppure affascinante, sulle rive del Danubio.

Oltre quelle rive, l’Austria, un terreno sconfinato si perde a vista d’occhio, uno spazio aperto di possibilità, che scorrono come il fiume ai piedi del castello, quasi una metafora di ciò che potrebbe aspetarmi nel 2013 e in questi anni dal cielo sempre più scuro, come quello di Devin, che sembrano promettere pioggia, ed invece nascondono solo un timido sole che promette future speranze dietro tempi duri.

Dal passato: Ottobre 2006 il Post: Lo scherzo di emule: la canzone per me

Oggi sbirciando sul mio blog ho trovato un mio vecchio post dell’ottobre 2006, che riportava di una canzone trovata per caso su emule che mi rappresentava molto. A distanza di tempo, le conclusioni di questa canzone non sono cambiate e ancora essa mi rappresenta  molto…sotto trovate il famoso post cui aggiungo il video di youtube

  

In fondo tutto resta uguale: “è l’una e fuori piove…”
questa canzone mi ha fatto piangere per un giorno intero, un giorno come tanti e senza un valido motivo, leggetela

Non so come spiegarlo: scaricavo da Emule una canzone di Tiziano Ferro ed invece ecco che mi appare questa canzone di un ragazzo che ho finalmente individuato come un bloggerista cantante bravissimo (vi lascio link al blog)
http://4tu.spaces.live.com/default.aspx

Questa canzone che mi ha fatto piangere mentre tornavo a casa in macchina ieri, in un giorno come tanti altri.
Ora sono le due, non piove, ma io non riesco a smettere di sentirla , perchè…parla di come mi sento in questo periodo, col sangue che ribolle e spinge il pedale con il fuoco nelle vene ed una fame chimica di me stesso, di gridare un ritornello a squarciagola felice o infelice non so, per il fatto che tutto resta uguale.
E quella sensazione di voler scappare per una strada che non riesce a farmi sbandare, col bisogno di essere me stesso, ora un pò più vivo, domani un pò più perso.
Se siete curiosi di sentirla chiedetemela, è dentro Ippolito, vale la pena, stò ancora a piangere.
Leggete bene il testo, PERCHè MOLTI DI VOI SICURAMENTE CI SI RITROVERNNO.
Sottolineo le parti per me stupende,

E’ luna e fuori piove
E’ l’una e fuori piove, non hai voglia di dormire, solo un film in bianco e nero e nessun amico in giro
il sangue ti ribolle e non te lo sai spiegare… o forse non lo vuoi capire
e cerchi di scappare senza sapere dove
e spingere il pedale al fuoco nelle vene, ma la strada ti conosce e non ti fa sbandare, anche se a sedurti è spesso un cuore ad ore, dalle casse arriva allenta una canzone ed un dj bastardo, no, non smette di parlare e quasi ti sorprendi ad alzare il volume, così il mondo fuori scompare
e aspetti il ritornello per cantare a squarciagola, aspetti un giorno nuovo, per dire “oggi gira”
ma cosa ti rimane di una stella che poi cade, in fondo tutto resta uguale, in fondo tutto resta uguale.

E’ l’una e fuori piove
questa voglia di volare è solo fame chimica, un salto senza fine,
è solo quel bisogno che hai di essere te stesso, ora un pò più vivo, domani un pò più perso

e farmi ad aspettare ancora un treno che non passa in un binario vuoto perchè a piedi cosa ci resta e pensi per un attimo di avere la risposta ma in tasca hai un biglietto aperto per un’altra corsa

ma forse quel che dico o forse quel che penso è come un fiammifero che scalda il cielo di agosto
e brucia un pò di vita davanti ad un albero di mele, mentre l’alba distratta compare.

Gridando fa lo stesso, tu lo sai quello che hai perso e quasi ti convinci che ogni sogno ha il suo prezzo e scrivi un bel finale da poter poi raccontare ed inventi un lieto fine, così almeno puoi sognare.
Certo non hai vinto ma di sicuro neanche perso, sei nell’intervallo pronto a fare un altro scatto, sempre lì ad amare ciò che vuoi dimenticare
In fondo, tutto resta uguale, in fondo tutto resta uguale


Addio Whitney, una diva suo malgrado

Gli anni 80 della Musica ci stanno lasciando: dopo la morte del re del pop ecco che muore la regina del gospel romantico

La morte di Whitney Houston ha scosso il mondo della musica statunitense e mondiale, a breve distanza dall’apertura dei Grammy Awards che l’avevano vista per ben sei volte vincitrice.

Stella dela musica negli anni 80 e 90, Whitney non ha bisogno di presentazioni o troppo ricordi: è ancora impressa nella mente di tutti “I will always love you”, un classico con cui tutti abbiamo un pò pianto, un pò ballato quei terribili lenti del liceo attaccati alla tipa che proprio non ci piaceva o ci piaceva troppo e a cui promettevamo sogni d’amore di lunga durata.

Ma come l’amore anche la musica non è infinita e della difficoltà di viverla Whitney ne aveva fatto un principio piuttosto assodato. Terribilmente sola negli ultimi anni, entrava e usciva dalle cliniche di recupero, spesso si esibiva in condizioni pietose, vittima dell’anoressia e dell’abuso di droghe e stupefacenti, senza contare i traumi fisici di Bobbi Brown, l’amato-odiato marito. Whitney era la metafora perfetta della donna profondamente triste. Con lei muore gran parte del sogno romantico targato anni 80 che in forza di quella voce alta e decisa, l’aveva resa giustamente Diva immortale.

Da ragazzo degli anni 80 profondamente innamorato di lei e della sua musica e di quello che significavano le parole che hanno accompagnato i miei primi momenti romantici, credo che con lei sia morto il romanticismo melodico in cui la musica ha allevato la generazione dei trentenni di oggi, un romanticismo pari solo a quello di Mariah Carey sua acerrima nemica, almeno fino alla colonna sonora  Principe d’Egitto, dove le avvicinò la comune esperienza di un declino inevitabile dopo l’avvento delle nuove stelline Britney e Cristina e della pop-dance music.

Whitney, dicevo, ha riempito la musica di un romanticismo alto, distante da quello vagamente ammiccante di Mariah Carey e lontano da quello plasticoso delle nuove leve Britney e Cristina. Lo spirito gospel e la radice nera della musica della Houston la avvicinavano alla cugina Dionee Warrick e alla madrina Aretha Franklin, con un’attualità ed una profondità che le avevano fatto meritare il titolo di Diva, che la Houston, pur beandosene, ha spesso sentito come un peso troppo grande.

Per tutti quelli degli anni 80 la cantante resterà quella dei baci appassionati, delle note altissime, degli accordi difficili e della sdolcinatezza perfetta. Emblema di un mondo spaventato dalla modernità, la Houston con Body Guard ha ben identificato per se stessa e per quella generazione, la necessità di stare al sicuro, di cercare uno scoglio alla sofferenza, un riferimento capace di proteggerla dalle avversità e dalla modernità dilagante che avrebbe presto conglomerato l’amore fra i tanti sentimenti facilmente condensabili in facili musichette dagli accordi scontati.

La voce della Houston, con le sue profondità e le sue imperfezioni stava lì a ricordarci che l’amore è fragile e profondo, intenso e terribilmente capace di farti portare alle lacrime d’amore e gioia.

Credo che Withney debba essere ricordata per questo, per le sue riflessioni sull’amore, sul proprio destino, per la terribile umanità in cui si identificano anche le tanto decantate Stelle degli anni 80, figure, come quella di Micheal Jackson, terribilmente umanizzate dopo gli anni 90, quasi a significare che le Dive, non ci sono più e per fortuna.

Pace dunque all’anima di una Diva che non voleva essere tale. Una Diva che era tale non per i meriti canori ma per la terribile fragilità che ci ha ricordato di avere.