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Addio Cristina Young: dov’è la mia Persona?

Mer_crist_2La decima stagione di Grey’s Anatomy si chiude con l’addio alla serie di Cristina Young, personaggio indimenticabile, forse fra i più belli mai scritti per caratterizzazione e  introspezione dalla creatrice Shonda Rhimes.

Mer_crist_4Un personaggio urticante nei modi: scontrosa, poca propensa ai rapporti affettivi, un vero e proprio chirurgo freddo e ostile con i pazienti  lontanissima dai patetismi personali cui si lasciava andare Izie (che finiva per innamorarsene) e dalle inevitabili immedesimazioni di Meredith.Certamente più professionale di George e più concentrata di Alex, la Young è stata il chirurgo più importante del Seattle Grey’s   oscurando la stella di Meredith, diluita in una vita dove alla carriera personale è subentrata quella familiare e il trionfo degli affetti matrimoniali e filiali, oscuri alla Young.

Mer_crist_3La bellezza di questo personaggio, la cui dipartita in un bellissimo ballo nostalgico con Meredith che allego nel formato Tube, sta nel fatto che l’unico valore di Cristina al di là della Missione per il prossimo e l’amore per la medicina, è stata l’amicizia con Meredith.

Un valore salvaguardato, difeso, sostenuto anche quando la vita le portava l’una contro l’altra o le metteva in competizione

Meredith e Cristina sono due personaggi in qualche modo opposti, l’una presa dal lavoro, l’altra più dalla famiglia. Entrambi amanti della medicina, al punto di fare dei sacrifici. Resteranno nella mia testa per la bellissima espressione che usavano scambiarsi: “Sei la mia Persona”, che nulla ha di sessuale ma solo di sentimentale affettivo. Una specie di approdo ideale per me che ho sempre amato segretamente questo tipo di rapporto senza riuscire mai a raggiungerlo.

E mentre le due ballano in un’inequivocabile richiamo nostalgico dei loro tempi che furono, nella mia testa mi sono chiesto, non senza qualche lacrima, come certi rapporti di amicizia come quelli di Cristina e Meredith sono praticamente difficili da trovare, ed eppure li anelo irrimediabilmente, ne sono invidioso. Ma spesso credo, non sarei capace di portarli avanti.

Quanto è difficile trovare la propria persona? tanto. In questi anni ci sono stati molti candidati, molte Cristina Young (ma diverse nel carattere) , e nella mia testa la speranza c’è sempre. La speranza di trovare una grande amicizia, un’amicizia unica che ti accompagni oltre le sfide della vita. Un’amicizia che non avrebbe eguali, e supererebbe l’Amore ed il senso di sopraffazione che porta inevitabilmente con sé.

Una persona che mi dica “Stai zitto” e mi chieda di ballare ricordando ciò che è stato e non si perderà.

Ma ciò che non si perderà mai è davvero difficile identificarlo, e anche la persona che credi sia la tua Persona, è solo una persona con la “p minuscola”

Un finale indimenticabile di una serie e un monito malinconico in attesa dell’amico perfetto che forse non esiste.

 

 

 

CON AMORE MARC E BELLA CHAGALL@Teatro Studio Uno: uno sguardo Luminoso ai Sogni nell’oscurità della Storia

Un’opera intensa e appassionata, potrebbe definirsi così “Con amore Marc e bella Chagall”, il testo scritto e diretto da Valentina D’Andrea, in scena fino al 27 aprile al Teatro Studio Uno. Si tratta di un’opera preziosa, che fa luce sulla vita del pittore ebreo bielorusso, naturalizzato francese, Marc Chagall e di sua moglie, un racconto d’amore immerso nella storia più crudele del novecento dove le due guerre mondiali, la rivoluzione russa e l’avvento del nazismo fanno da sfondo “rumoroso” ad un amore che si affianca, senza sovrapporsi, alla passione del pittore per la propria arte.

Completamente a loro agio sul piccolo palco del Teatro Studio Uno, Castano e D’Andrea commuovono e incantano con la semplicità pura di un amore delicato e difeso contro la Storia, mostrandosi come “due gocce nel mare, perdute nel Mondo”, una coppia inossidabile in cui ognuno dei due “porta sotto le scarpe la propria Terra, attaccata alle scarpe”, (un riferimento alle origini ebraiche della coppia) e si batte per quella Libertà espressiva, sentimentale e sociale messa alla prova dal trasecolare degli Eventi del novecento.

La recensione completa su Gufetto:

Private Practice: e alla fine andrà tutto bene…se si cambia

private_1Addison, la ginecologa che in amore non può che sbagliare, raggiunge l’altare con figlio al seguito. Per la gioia di tutti i combinaguai sentimentali.

Un finale senza lacrime, ed un giudizio su una Serie dal ritmo altalenante.

Ecco la lezione che arriva dal finale di Private Practice

Un finale senza lacrime

PrivatePractice2E così finalmente Private Practice è arrivato alla sua degna conclusione.
Diciamocelo, lo spin-off di Grey’s anatomy era decisamente arrivato alla frutta, narrativamente parlando. Le vicende di Addison Montgomery, la moglie di Derekl Sheppard -protagonista maschile di Grey’s, (più noto come Dottor Stranamore)- fuggita da  Seattle dopo la fine definitiva del suo matrimonio con Derek ormai fra le braccia di Meredith, hanno vissuto alterne fortune: da stagioni più fortunate, 1 o 2 su 6, ad altre dagli sviluppi improbabili, fino a stagioni dove la noia è regnata sovrana.
Private_Practice_3Eppure, per una serie partita col piede giusto e  naufragata dapprima nel dolore e poi nella noia, il finale che Shonda Rhimes ha riservato è stato giusto: Addison felicemente sposata con un personaggio tutto nuovo e diverso dai suoi amici dello Studio. E di contorno, tante felici conclusioni per i personaggi “minori”: il parto trigemellare di Charlotte (che non voleva figli), la malattia di Sheldon da combattere, il nuovo amore di Amelia dopo la follia della droga e soprattutto il ritorno di Naomi, la ex del dottor Bennet, che ha diviso l’amore per Sam proprio con l’amica del cuore Addison. In questo finale spicca anche la dottoressa Violet, che dopo la morte di Pete, decide di scrivere un libro su tutti i suoi amici, intitolandolo “Private Practice” in onore dello studio dove i suoi colleghi si sono amati, odiati e sono morti o arrivati alle mani. Nel toccante video finale Addison da la sua benedizione a Naomi e Sam, la coppia di amici che aveva contribuito a dividere, cominciando una storia improponibile e contestatissima proprio con Sam.

Gli errori di Addison

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Ma non è stato questo l’unico errore di Addison: e la stessa dottoressa lo ammette candidamente. Prima il tradimento del marito Derek con il migliore amico di lui, il dottor Sloane (poi morto in Grey’s anatomy). Poi la fuga a Los Angeles sull’onda dell’amore a prima vista con Pete, che però sceglierà (incredibilmente) l’amica psichiatra Violet, salvo poi tornare da lei con il figlio avuto dall’altra.. Ha quindi provato a legarsi con uno Swat sfinendolo di insicurezze, poi con un uomo sposato (ma non ci andò a letto), il sopra citato ritorno di fiamma con Pete (che morirà anche lui) e il terribile flirt con il suo amico di sempre Sam , con il quale la nostra ginecologa ha distrutto l’amicizia storica con Naomi, costringendola di fatto ad andarsene. Insomma, Addison non si è lasciata mancare niente. E poi si sa, a parte un uomo, Addison ha sempre desiderato avere un figlio suo. Del resto vuoi mettere: essere ginecologa, vedere tutte partorire, anche le tue amiche più care e non tu? Era troppo. La natura crudele però non le ha permesso di avere figli (un pò una punizione per il tradimento del primo marito), così Addison ha dovuto adottarlo, ponendo la parola fine ad una angoscia senza fine, quasi un pungolo che una vera necessità .

private_practice5Il personaggio è stato talmente tanto bastonato da Shonda Rhimes da apparire quasi moralmente inappetibile e odioso, una sorta di mangiauomini vestita Armani, con un ovulo solo e tanta voglia di mettere zizzania nei rapporti coniugali altrui. Eppure alla fine, Addison si redime, sposa un uomo perfetto, un ginecologo come lei, desideroso di avere figli come lei, e con un passato da dimenticare… come lei. Poco importa se per questo ha dovuto passare sopra il cuore di Sam. Serviva.

Era infatti necessario redimere un personaggio per comunicare un grande messaggio. Cambiare si Può. E cambiando tutto andrà bene. Modificando quell’idea inveterata che abbiamo di noi stessi, che non CAMBIEREMO MAI e superando i sensi di colpa che la dottoressa Montgomery ha incarnato in sei lunghe stagioni, si può arrivare alla Felicità, ad una sorta di nuovo inizio, coronato da un matrimonio.

“La seconda volta è meglio della prima – sostiene Addison nel filmino realizzato per Naomi- perché la seconda volta che ci si sposa è per sempre”. Il senso è che un’occasione nuova non si nega a nessuno. nemmeno a chi è una combinaguai patologica come Addison Montgomery e come tutti quelli come lei che in Amore hanno sempre avuto il problema di sostituire un amore passato con uno identico

Il consiglio è darsi una seconda chance e cercare quel Principe azzurro che prima o poi arriva, se si ha il coraggio di cambiare la propria propensione ad aspettarlo o meglio, se si cambia quell’odiosa propensione a credere di non desiderarlo affatto.   

Addio Whitney, una diva suo malgrado

Gli anni 80 della Musica ci stanno lasciando: dopo la morte del re del pop ecco che muore la regina del gospel romantico

La morte di Whitney Houston ha scosso il mondo della musica statunitense e mondiale, a breve distanza dall’apertura dei Grammy Awards che l’avevano vista per ben sei volte vincitrice.

Stella dela musica negli anni 80 e 90, Whitney non ha bisogno di presentazioni o troppo ricordi: è ancora impressa nella mente di tutti “I will always love you”, un classico con cui tutti abbiamo un pò pianto, un pò ballato quei terribili lenti del liceo attaccati alla tipa che proprio non ci piaceva o ci piaceva troppo e a cui promettevamo sogni d’amore di lunga durata.

Ma come l’amore anche la musica non è infinita e della difficoltà di viverla Whitney ne aveva fatto un principio piuttosto assodato. Terribilmente sola negli ultimi anni, entrava e usciva dalle cliniche di recupero, spesso si esibiva in condizioni pietose, vittima dell’anoressia e dell’abuso di droghe e stupefacenti, senza contare i traumi fisici di Bobbi Brown, l’amato-odiato marito. Whitney era la metafora perfetta della donna profondamente triste. Con lei muore gran parte del sogno romantico targato anni 80 che in forza di quella voce alta e decisa, l’aveva resa giustamente Diva immortale.

Da ragazzo degli anni 80 profondamente innamorato di lei e della sua musica e di quello che significavano le parole che hanno accompagnato i miei primi momenti romantici, credo che con lei sia morto il romanticismo melodico in cui la musica ha allevato la generazione dei trentenni di oggi, un romanticismo pari solo a quello di Mariah Carey sua acerrima nemica, almeno fino alla colonna sonora  Principe d’Egitto, dove le avvicinò la comune esperienza di un declino inevitabile dopo l’avvento delle nuove stelline Britney e Cristina e della pop-dance music.

Whitney, dicevo, ha riempito la musica di un romanticismo alto, distante da quello vagamente ammiccante di Mariah Carey e lontano da quello plasticoso delle nuove leve Britney e Cristina. Lo spirito gospel e la radice nera della musica della Houston la avvicinavano alla cugina Dionee Warrick e alla madrina Aretha Franklin, con un’attualità ed una profondità che le avevano fatto meritare il titolo di Diva, che la Houston, pur beandosene, ha spesso sentito come un peso troppo grande.

Per tutti quelli degli anni 80 la cantante resterà quella dei baci appassionati, delle note altissime, degli accordi difficili e della sdolcinatezza perfetta. Emblema di un mondo spaventato dalla modernità, la Houston con Body Guard ha ben identificato per se stessa e per quella generazione, la necessità di stare al sicuro, di cercare uno scoglio alla sofferenza, un riferimento capace di proteggerla dalle avversità e dalla modernità dilagante che avrebbe presto conglomerato l’amore fra i tanti sentimenti facilmente condensabili in facili musichette dagli accordi scontati.

La voce della Houston, con le sue profondità e le sue imperfezioni stava lì a ricordarci che l’amore è fragile e profondo, intenso e terribilmente capace di farti portare alle lacrime d’amore e gioia.

Credo che Withney debba essere ricordata per questo, per le sue riflessioni sull’amore, sul proprio destino, per la terribile umanità in cui si identificano anche le tanto decantate Stelle degli anni 80, figure, come quella di Micheal Jackson, terribilmente umanizzate dopo gli anni 90, quasi a significare che le Dive, non ci sono più e per fortuna.

Pace dunque all’anima di una Diva che non voleva essere tale. Una Diva che era tale non per i meriti canori ma per la terribile fragilità che ci ha ricordato di avere.

How I meet your mother: ode al nuovo Friends

Il telefilm è esemplare di una generazione di trentenni in cerca dell’amore…

Quando tornavo a casa dall’università, verso le 7 circa, Rai Due, che allora era una rete attenta ai gusti telefilmici, c’era sempre Friends, che faceva sognare una generazione di matricole, come lo ero io in attesa di laurearsi e vivere da grandi, ma ancora non da adulti.

A distanza di 20 anni dai radiosi anni 90, ora nel 2010 vivo per conto mio, sono ormai nella fase “friend” ovvero sono un trentenne alle prime esperienze lavorative, e tornato a casa trovo un altro gioiellino telefilmico “How i meet your mother”.

Il telefilm riprende l’idea originale di Friends, 5 amici, di cui 2 in coppia, alle prese con le disavventure sentimentali classiche dei giovani oltre i 30, con un sesso più consapevole di Dawson’s creek, meno patinato di OC, più realistico di Beverly Hills 90210.

In How i meet your mother Ted Mosby, un affermato architetto, fa sedere i suoi due figli adolescenti sul divano di casa, e inizia a raccontare loro gli eventi che, venticinque anni prima, lo hanno portato a conoscere quella che sarebbe diventata la sua futura moglie e la loro madre, senza però rivelarne mai il nome.

Vengono così narrate le vicende del proprio gruppo, formato da una coppia di amici, Marshall e Lily (già Willow in Buffy), fidanzati dai tempi del college (un rapporto simile a quello fra Chandler e Monica), Barney Stinson, un ricco donnaiolo dalla battuta pronta(che ricalca nei modi e tempi comici la Karen di Will&Grace) e Robin Scherbatsky, una reporter di una piccola emittente televisiva, con cui Ted ha una storia molto alla “Rachel-Ross” di Friends.

Ted, imbarazzante nel modo con cui dirige la propria vita sentimentale, divisa dall’affetto per gli amici e l’amore per la bella Robin, rappresenta il 30enne single alla ricerca di se stesso, ed in un certo posto, è critico, più di quanto non lo fosse Ross di Friends dei propri limiti che accetta, e a cui si ribella molto poco.

La magia di How I meet, stà nel romanticismo di Ted, che ci crede davvero nell’amore, sa che lo troverà (forse perché la narrazione avviene ottimisticamente  “a posteriori” ed è narrata da un se stesso nel futuro che lascia credere che tutto è possibile se veramente ci si spera).

L’altro aspetto accattivante del telefilm sta nel fatto di non conoscere chi sia la ragazza che Ted sceglierà, molti puntano su Robin, ma…sarà vero?

Personalmente trovo che Ted rappresenti un me stesso di allora, spaventato dalle relazioni, cronicamente single (oggi sarei più vicino ad un Marshall) e in attesa della possibilità giusta.

La ragazza che Ted aspetta, con cui farà i due figli a cui “parla” nel futuro, sono la proiezione di tutti i suoi desideri.

Il percorso per arrivare a questi è arduo come è arduo per tutti i trentenni immersi nel mondo delle relazioni occasionali, difficili, impossibili, a volte crudeli, in cui l’unico baluardo possibile era (negli anni 90) e resta oggi solo quegli insostituibili Friends che ci attendono la sera a casa dopo l’orario lavorativo